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RECENSIONE FILM SU VIENORMALI.IT

  • Immagine del redattore: solodicordata
    solodicordata
  • 23 mag 2016
  • Tempo di lettura: 5 min

Oggi è uscita la prima recensione di SoloDiCordata realizzata dal prestigioso sito vienormali.it da sempre riferimento culturale, e non solo, per tutto ciò che ruota attorno all'universo montagna.

Abbiamo il piacere di riportarla qui di seguito ma prima inseriamo il link diretto per la lettura:

FILM DI MONTAGNA - SOLO DI CORDATA

Probabilmente definire soltanto "alpinista" una persona come Renato Casarotto significa limitarne la dimensione umana e lo spessore esistenziale, perché egli non era solo un alpinista, un salitore di montagne, uno scalatore che con le sue imprese visionarie e scalate solitarie al limite dell'impossibile ha anticipato i tempi e aperto la strada a generazioni di alpinisti. Generazioni che spesso non sanno neanche chi fosse e cosa avesse fatto e magari si ritrovano per caso a seguirne i passi, più nel concetto di scalata solitaria che nelle vie da lui aperte, alcune delle quali rimaste irripetute a distanza di 40 anni... Casarotto non era solo un alpinista, era un uomo come pochi ne sono esistiti fra quelli che hanno calcato le vette, un uomo che ha saputo rendere tangibile e profondo quel concetto sfuggente per cui salire in alto non è altro che uno scendere in basso, dentro sé stessi, per conoscersi, per capirsi, per scoprire la propria vera identità, per compiere un viaggio di esplorazione, scoperta e infine conoscenza della propria più intima essenza umana. Di grandi alpinisti di tutti i tempi si è scritto di tutto, nell'Olimpo dell'alpinismo mondiale dominano da sempre e per sempre nomi come Comici, Cassin, Bonatti, Castiglioni, Detassis, Gervasutti, Messner, Kukuczka e tanti altri senza fare torto a quelli non nominati, ma troppo spesso ci si dimentica di un inarrivabile come Casarotto. Forse perché negli anni in cui ha fatto balzare in avanti l'alpinismo solitario, in particolare invernale, non c'era chi poteva stargli dietro, forse perché non ha avuto (o voluto avere) quell'appiglio di marketing tale da pubblicizzare le sue imprese per essere acclamato come altri suoi contemporanei. Ma non era quello il motivo che lo spingeva sulle durissime vie che ha aperto sulle pareti del mondo, non gli interessava. La scalata era solo un mezzo per capire sé stesso, per compiere un viaggio introspettivo e interiore al limite delle percezioni fisiche e sentirsi libero nello splendore della natura selvaggia. E' questo che emerge dalla visione dello splendido film documentario Solo di cordata sapientemente realizzato dal regista Davide Riva: un fedele ritratto filmico che ripercorre la vita e le imprese alpinistiche più famose di Renato Casarotto, anche grazie a preziosi materiali di repertorio inediti, come i racconti e le lettere di Roberto Mantovani e alle cassette registrate da Casarotto durante le sue scalate per memorizzare le sue sensazioni, da cui riemerge a distanza di tanti anni, emozionante, la voce dell'alpinista e dell'uomo Casarotto. Ma anche le testimonianze di altri amici, compagni di cordata e alpinisti che lo hanno conosciuto e che con lui hanno scalato, come lo stesso Mantovani e Maurizio "Manolo" Zanolla, Alessandro Gogna, Renzino Cosson, Piero Radin, Giacomo Albiero, Alberto Peruffo. E poi la voce di Goretta Traverso, compagna di vita e di scalate, colei che ha vissuto vicino a Renato nelle eterne attese ai campi base durante le sue scalate, che lo ha accompagnato su tante vette, lei prima donna italiana a salire un 8000, il Gasherbrum II.

Un film che racconta la ricerca umana di un uomo straordinario, nel senso etimologico del termine "extra-ordinario", al di fuori dell'ordinario appunto. Una raccolta di immagini e pensieri sconosciuti che gettano luce sulla complessità umana e l'eclettismo di un uomo che ha compiuto imprese "extra-ordinarie", molte delle quali ancora oggi insuperate e mai ripetute, come l'eterna, difficile e pericolosa via sulla parete nord dello Huascarán, da lui aperta in solitaria nel 1977 dopo 17 giorni di arrampicata assistito soltanto dalla moglie Goretta al campo base. Nel 1979 in Patagonia salì in solitaria il pilastro nord del Fitz Roy; nel 1982 compie un concatenamento inimmaginabile fino ad allora, il Trittico del Frêney, un concatenamento in solitaria invernale di tre vie impegnative nel bacino del Frêney, senza averle scalate in precedenza: la Via Ratti-Vitali sulla parete ovest dell'Aiguille Noire de Peutèrey, la Via Gervasutti-Boccalatte al Picco Gugliermina e la Via Bonington al Pilone Centrale del Freney, con discesa dalla vetta del Monte Bianco in mezzo a una bufera lungo il versante francese a lui ignoto. Tra il 30 dicembre 1982 e il 9 gennaio 1983 salì in solitaria la il difficile Diedro Cozzolino sulla parete nord del Piccolo Mangart di Coritenza, nelle Alpi Giulie; nel 1984 scala il Monte McKinley per la cresta sud-est (soprannominata The ridge of no return), in un funambolico percorso fra pericolose e labirintiche cornici di neve pericolanti; nel 1985, in prima invernale solitaria, ripete la Via Gervasutti sulla parete est delle Grandes Jorasses; sempre nel 1985 sale il Gasherbrum II insieme alla moglie Goretta Traverso. Poi, il 16 luglio 1986 il triste epilogo di tanta esplosiva carriera alpinistica: affronta lo sperone sud ovest del K2, attraverso una via tentata da una spedizione francese nel 1979 (più volte confusa con la cosiddetta Magic line). Scala tutta la via in solitaria fino a soli 300 metri dalla vetta, ormai sui pendii di neve sommitali, ma preferisce rinunciare a raggiungere la cima a causa di un cambiamento delle condizioni atmosferiche. Ripercorre la via in discesa, di fatto un'ulteriore impresa, ma a soli 20 minuti dal campo base il cedimento di un ponte di neve lo fa precipitare in un crepaccio profondo 40 metri. Riesce a dare l'allarme via radio ed è raggiunto dagli italiani del gruppo di Quota 8000, che ne seguivano la discesa da lontano con il binocolo e lo avevano visto scomparire nel crepaccio. Ancora vivo, ma ferito gravemente, viene riportato in superficie, tenta qualche passo, ma quasi subito si accascia sul suo zaino, morendo poco dopo per le numerose emorragie interne, tra le braccia di Gianni Calcagno. Viene tumulato in un crepaccio sulla montagna. Nel 2003, dopo 17 anni, il lento scorrere del ghiacciaio ne ha restituito le spoglie, rinvenute da un gruppo di scalatori del Kazakistan che hanno provveduto a trasportarlo al Memorial Gilkey.

Il film di Davide Riva tenta di svelare il pensiero e le sensazioni di Casarotto, raccontando cosa succede all'animo umano quando, penetrando in solitudine nella primordialità del mondo naturale, arriva a confrontarsi con l'origine. Il tutto con un montaggio davvero coinvolgente, con un inizio che fa comprendere che si è di fronte al principio di una storia mosteriosa, celata nelle bobine di vecchi filmati, nei diari scritti dall'alpinista, nelle cassette in cui ha registrato la sua voce. Poi pian piano il suo mondo si rivela, con la sapiente sovrapposizione di immagini, filmati, racconti, testimonianze, voci, ricostruzioni di scalate, e l'emozione puramente umana della voce di Renato e Goretta... Un viaggio impregnato di un'intensa spiritualità, che emerge e culmina nella salita solitaria della Ridge of no return, momento profondissimo del film in cui non si possono non sentire dei brividi e porsi delle domande... Un film che finalmente rende il dovuto onore a un alpinista che forse non ha avuto eguali nella forza, determinazione e introspezione interiore con cui ha affrontato le sue montagne, nonché il giusto ricordo nell'immaginario collettivo dell'alpinismo. E il messaggio finale dello stesso Casarotto, scritto in un biglietto dentro la scatola di una bobina di un nastro con le riprese di una spedizione, trova finalmente il suo compimento: qualcuno è riuscito a capire il suo mondo e lo ha saputo raccontare in 84 minuti di intensa e struggente memoria.

Roberto Ciri - vienormali.it


 
 
 

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